sabato, febbraio 17, 2007

 

MA DI MENZOGNE SAZIAMI


Il bugiardo è doppio di cuore, scriveva Sant’Agostino. Ma chi è doppio di cuore ha una via di scampo, penso io. Impastare la realtà, amalgamarla con l’ingrediente creativo che la rende più gustosa, può aiutare l’uomo a salvarsi dall’infiacchimento delle consuetudini.

E’ mattina e a Bologna c’è il sole. Le gonne sembrano più corte e non si vedono cappelli. Qualcuno azzarda un’uscita in giacca e pantaloni leggeri. Un ragazzo in felpa e occhiali sta sostituendo la candela del motorino a bordo strada. A guardarlo sembra la primavera arrabbiata che qualcuno ha svegliato prima del tempo. Seduta al tavolino di un caffè sotto il portico, sfoglio la cronaca cittadina e le notizie mi passano davanti, impolverate e stanche, come le auto che transitano sul ciottolato di via Santo Stefano. I tacchi dei tailleur che vanno in ufficio risuonano ritmi emiliani e certi uomini appena sbarbati lasciano una scia di profumo che si confonde con l’odore del caffè di cereali che una ragazza dall’accento veneto mi ha appena consegnato. Agata, come sempre, è in ritardo. Mentre bevo a sorsi quel sapore scuro sorrido e penso a quant’è bugiarda. Senza inganno e senza volontà di nuocere lavora la verità come un abile conciatore di pelli che prepara giacconi per affrontare l’inverno.

Lo so, giungerà correndo. Racconterà di aver trovato un fantasma sul ciglio del letto, mi farà sogghignare con la sua realtà traslata e scorderò l’attesa.

Pensando a lei evapora ogni desiderio di un mondo senza menzogna.

Le prime bugie arrivarono in famiglia dove mia madre mentiva sulla salute delle persone care e mio fratello mi faceva credere che le perline crescessero sotto terra. Poi continuò il mio primo amore. Lui, fantasista del vero e ragazzo di mare, riuscì a trasformare un acerbo sentimento in una storia passionale fatta di liti e pianti sottocasa, di abbracci soffocati nella pineta e gite in moto sul litorale. In seguito vennero tutte le altre. Menzogne per conquistarmi, menzogne per non ferirmi, menzogne per divertirmi e presto trovai comodo alloggio nell’illusione. Ingannando la mente ho potuto amare e odiare, soffrire e gioire finché un giorno non ho più distinto la realtà dal sogno e mi sono rifugiata nell’arte. Respiro a tempo di musica, mi nutro di parole, divoro immagini, assaporo voci dal palcoscenico e accarezzo superfici scolpite.

L’arte è la menzogna che ci permette di conoscere la verità, diceva Pablo Picasso. E fra tutte le menzogne, “è ancora quella che mente meno”.

Agata non verrà. Pago il conto del bar. Mi illudo che sia già primavera ma aspetto l’ultimo vento del nord.

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venerdì, febbraio 09, 2007

 

L'INCONTRO


Quando la paura scurisce i toni del mio pensiero e i desideri vi si perdono dentro e ci annegano, scendo dai tacchi, indosso scarpe sportive e porto le mie impronte sulla terra nuda.

Da ragazzina, in momenti come questo, camminavo sulla spiaggia finché la luce del giorno cominciava a sfumare. Seppellivo a riva, affidandolo a una conchiglia, il più intimo dei miei desideri, e aspettavo che si avverasse con la prima ondata che fosse intervenuta a riprendersi quella vecchia casa per molluschi. Credo sia per questo che ho sempre amato il mare in tempesta.

E’ già sera ai Giardini Margherita. Le auto incolonnate all’ora di punta sembrano scatole d’argento che sbuffano. I pedoni attraversano i viali infreddoliti e frettolosi e io cammino sull’erba bagnata mentre l’aria della notte comincia a penetrare più buia e mi adombra il respiro. Pensare fra gli alberi regala quell’illusione di natura che Bologna nega nel rosseggiare del suo mattone, e aiuta a ritrovare le cose perdute.

Il vialetto illuminato si sta svuotando. Un gruppo di studenti chiacchiera fra motorini e panchine piene di scritte. Uomini in cravatta tornano al parcheggio e un piccione tenta il suicidio gettandosi in picchiata dal tetto di una casa. Io, passo dopo passo, cerco i miei desideri affogati stringendo in mano una piccola conchiglia immaginaria.

“Hai una sigaretta?” mi domanda un ragazzo col cane al guinzaglio. “Non fumo più” lo informo. “Peccato!” ribatte lui. “Perché?” domando io. “Se fumavi te ne offrivo una!” risponde. Gli sorrido. Con quella giacca di pelle e il bavero alzato ricorda Al Pacino ai tempi di Serpico. Il suo cane, un terranova di grossa taglia, si avvicina smorfioso e mi lecca una mano. Quel ragazzo mi guarda e io fisso il nulla per non incrociare la sua voglia di conoscermi. Passeggiamo insieme. Lui parla. Io l’ascolto. Torno a sorridere. Ha capelli scuri e occhi nocciola e una cicatrice sul polso. Racconta la sua storia generoso e io non smetto di sorridere. Ha la carnagione olivastra, scarpe rosse e profuma di tabacco e legno selvatico. Camminiamo per ore. Il traffico va sfumando e la città sembra acquietarsi per riposare la stanchezza di un giorno qualunque.

Lui sta ancora parlando quando la macchia scura della notte comincia a rendermi nervosa. Le fronde degli alberi riflettono ombre sconosciute e ogni passo appare nemico. Scappo spaventata e torno verso casa quasi correndo. Sotto il portico, solo passi distesi e sguardi bassi. Un uomo sfreccia in bicicletta. Le serrande dei negozi sono abbassate. Le luci spente. Un autobus transita rumoroso. La paura mi insegue fin davanti al portone dove una brezzolina sembra portare l’odore di una burrasca lontana. Entro in casa pensando al ragazzo col cane e insisto per non perdere il ricordo delle sue parole. Accendo il computer e lo ritrovo sulle pagine inedite del mio libro.

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giovedì, febbraio 01, 2007

 

IL SOGNO


Rannicchiata nel letto, avvolta da lenzuola azzurre e capelli, sto ancora dormendo mentre Bologna stira le gambe e scalda i muscoli per cominciare a correre la sua nuova giornata.

Fra qualche istante la serranda ferrosa del negozio sotto casa aprirà i battenti sbadigliando in faccia ai primi passanti. Qualcuno si fermerà a comprare pacchetti di fumo e un uomo correrà dietro a un autobus per non perdere il passo della sua danza quotidiana. Il profumo del caffè arricchirà l’odore dei gas di scarico delle auto e i bambini seguiranno la scia che li porta a scuola.

Il mio respiro è rilassato. I battiti regolari. Il corpo riposa e la mente ne approfitta per viaggiare. In conflitto continuo, le due metà del mio essere hanno combattuto battaglie fin dai tempi in cui, bambina e leziosa, giocavo a fare la cantante col peso di legno della tenda del salotto. Si sono battute nella pineta dei miei dodici anni quando un ragazzo provò a strapparmi il primo bacio; si sono azzuffate al buio di una discoteca, sui sedili di un'automobile, nella coperta di una nave che lasciava il continente.

Lei, votata al raziocinio e madre di tutte le imprese, si concede libertà solo di notte, ogni volta che fuori dal peso della veglia, può librarsi, diventare fantasia e perdersi col sogno in pensieri folli. Lui, passionale e viziato dal battito di un cuore anelante, di notte consola di nascosto le fatiche dei sentimenti e sutura le ferite.

Solo se dormo si compenetrano e fanno pace. Raccolgono fiori immaginari e percorrono strade sconosciute, mano nella mano, come amanti che vogliono solo stare insieme.

E’ ancora buio nella mia stanza quando il pensiero sognante mi porta immagini di mondi lontani. Un volto dagli occhi scuri, una mano che accarezza la mia. La mente che dorme non teme invasioni e abbassate le difese accoglie il desiderio e regala al corpo il calore di quell’abbraccio immaginario. Sorrido nel sonno. Cullata e incredula, mi delizio a quel contatto, mentre un angelo pizzica le corde del suo strumento.

“E’ così che vi vorrei!” grido alle due metà del mio essere. Complici e complementari come ruote dentate di uno stesso ingranaggio. Loro non sentono. Sono distanti. Suona la sveglia e ricominciano a litigare.

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