venerdì, luglio 27, 2007

 

JUST MARRIED



“Sposarsi non è difficile!” dice Andie MacDowell in Quattro matrimoni e un funerale. “Basta rispondere a tutte le domande che ti fanno.”

Sono al matrimonio dell’amica storica.

Nel giardino di una villa settecentesca dai decori e affreschi di pregio respiro aria faentina sotto un cappello a tesa larga e grossi pois bianchi e neri. Un prato all’inglese solletica il cuoio di scarpe nuove ed eleganti e un’orchestrina jazz accompagna un aperitivo in perfetto stile cerimonia.

Cosa mangio?

Sul tavolone imbandito vassoi di ostriche sopra un letto di cubetti di acqua gelata donano alla campagna romagnola quel profumo di mare che sta bene su tutto, come il color cuoio di certe borsette da signora.

Il chiacchiericcio degli ospiti fa da sfondo alle note di un sax che intona vecchie melodie.

Fra gli invitati, gli amici di sempre, fior di professionisti, donne pavone che mostrano ventagli di piume colorate e uomini ingessati nei colli inamidati delle loro camicie migliori.

Settecentocinquanta candele illuminano i vialetti in terra battuta dove D’Annunzio e Carducci amavano passeggiare, mentre bambine infiocchettate si rincorrono fra i tronchi secolari di generose fronde silenziose.

Sorseggio champagne e la guardo nell’abito prezioso. Un color avorio le avvolge le forme, i capelli biondi raccolti e intrecciati. Sorride.

Da studentesse passavamo intere estati a cuocerci al sole. Non ci bastava mai.

La rivedo nel suo costume color jeans. E’ sempre stata bella, aggraziata. Lunghi capelli biondi e un topless ostentato sulla tela che sapeva di sale del mitico catamarano di Giorgio.

Il marito è avvocato, come lei del resto, e ama farmi ridere.

Aspetto le sue battute come sketch di uno spettacolo appena iniziato. Scherza sul suo portafoglio alleggerito, sulle zie che aspettano ancora l’ex fidanzato medico e tutto segue il ritmo stabilito. Lancio del bouquet dalla balconata. Cambio d’abito per il dopocena e musica dal ritmo invitante. E poi, camerieri impettiti, fotografi irrequieti, il truccatore “truccatizzimo”, il testimone addormentato e una cascata di confetti impietriti nelle candele profumate.

Ballo, bevo, mangio e mi agito fino a notte. Con me gli amici che non vedevo da anni. Un medico bolognese e un farmacista di Firenze si agitano sulla pista illuminata. A guardarli sembrano due bambini ubriachi dalla gioia di una vacanza inaspettata.

Gli sposi ringraziano, si baciano e io sono felice e triste, e penso che quando l’amica convola a nozze, invecchi in dieci minuti.

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martedì, luglio 24, 2007

 

BUON COMPLEANNO


Ci sono giorni in cui la tastiera scrive da sé. Si serve delle mie dita. Io le guardo in silenzio mentre picchiano lettere in sequenza e le lascio lavorare…

Perché mi sono svegliata così presto? La casa è ancora sottosopra. Non trovo più una scarpa. Il portone del palazzo sbatte in faccia a una mattina umida e immorale. Sul pavimento le briciole di un film, di una pizza di plastica trangugiata fra un sorso di birra e una sigaretta senza filtro. Il tanfo di fumo sta divorando l’intonaco delle pareti, fra qualche minuto avrà raggiunto il rosso della pietra cotta. Sento i crampi sbrindellare il mio stomaco svuotato. Cos’è successo nella notte? Due piedi scalzi sbucano da una coperta scozzese buttata sul divano. Un braccio tatuato oscilla cautamente al ritmo di un respiro troppo assonnato. Il mio corpo non è più lo stesso. La pelle non ha più il mio odore. In testa mi suona una banda di scalmanati che sbatte improbabili bacchette sulle mie tempie irritate.

Spero solo di non aver esagerato. L’ultima volta hanno portato via Charlie arrestandolo nella notte.

Ma Charlie è così. Fa sempre ciò che vuole. Conquista la sua fetta di mondo con l’ingenuità di uno sguardo bambino e quei riccioli scuri che riposano sulle spalle. Non potrei mai arrabbiarmi con lui.

Passo una mano sul viso e incontro il mio volto. La fronte sudata, gli occhi stanchi. Ho qualcosa sul naso. Mi specchio. Un altro piercing.

“Charlie vaffanculo! Questa volta potevi almeno dirmelo!”

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giovedì, luglio 12, 2007

 

QUI DOVE IL MARE LUCCICA


E’ piena stagione nel paese del vento. Sulle terrazze degli alberghi del lungomare file di teli colorati mostrano le bandiere di paesi lontani e ai bordi delle strade si accalcano le auto parcheggiate. Cammino sulla battigia mentre l’alba allunga le sue mani rosate su una spiaggia ordinata e ancora silenziosa. L’aria è frizzante e la brezza miscela il tempo restituendo un frullato di immagini ai frutti misti e papaia.

Avanzo pigramente e come il protagonista del mio romanzo penso ai miei primi desideri. Dall’acqua affiorano solo i miei piedi abbronzati che si fanno strada fra spruzzi e conchiglie rosicchiate e in questa porzione di tempo si sente solo il fruscio di assonnate onde mattutine.

In lontananza vedo il porto.

Continuo a camminare e già i primi bagnanti cominciano a depredare porzioni di spiaggia come pirati part-time mentre lontano troneggia il modesto grattacielo di Milano Marittima, testimone di sfacciate feste vip e banditore di un’asta riservata agli amanti delle passerelle.

Qualcuno corre sciogliendo muscoli e pesantezze invernali. Venditori abusivi stendono le loro merci contraffatte con occhi accorti. Vecchi e signore cotonate passeggiano inspirando aria a pagamento.

Continuo a camminare e attraverso il tratto di spiaggia libera. Una colonia di bambini sbraita la libertà della prima vacanza senza genitori. Le loro grida danno via al tam tam vacanziero che sale sul palco senza pretesa di applausi.

A ogni passo la spiaggia si colora di tinte in due pezzi e pantaloncini.

L’odore di abbronzanti copre la salinità del venticello di ponente e la quiete diventa caos. In pochi minuti il brusio di chiacchiere sotto l’ombrellone sovrasta la timida voce del mare calmo. Suonerie di cellulari, partite a racchettoni e pettegolezzi all’olio di cocco sono un coro stonato senza più direttore.

Mi faccio strada fra la gente. Il sole assesta le sue spinte luminose e una morsa preme sui miei polpacci poco allenati.

La meta è vicina.

Qualche passo ancora e raggiungo gli scogli che ne disegnano l’area.

Ecco il porto! Pensione di lusso per ormeggi da turismo e aia allagata di loschi traffici e scambi illeciti.

Sul pontile riconosco l’odore delle vele e dei carburanti.

Non so ancora perché stamattina ho camminato tanto per essere qua.

Da bambina ci venivo con mio nonno. Seduti sul molo aspettavamo l’arrivo dei pescherecci per vedere la fatica di uomini abbronzati che tornavano da una notte in mare. Li guardavo sistemare cassette di pesce saltellante e ascoltavo il loro dialetto forbito raccontare imprese impossibili. Ripiegavano le reti, si passavano il braccio sulle fronte e nelle loro canottiere macchiate mi sorridevano sempre.

A mio nonno non l’ho mai confessato, ma diventare pescatore era il mio secondo desiderio.

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martedì, luglio 03, 2007

 

Santi che pagano il mio pranzo non ce n’è


Un blog è come una piazza. Chiunque può transitarvi, a ogni ora. Ci trovi storie. Pezzi di vita come bocconi da fast food. Leggi e ingoi. Ci bevi dietro un sorso di birra scadente e te ne vai altrove. Quando hai fame ci torni. Mangi altre parole. Se sei sazio lasci anche commenti. Un pezzo di torta per chi verrà dopo di te. Una coca cola in lattina. Una sigaretta accesa.

Guardo le pagine del mio blog.

In quanti sono passati di qua?

Poeti e scrittori, discrete penne e dissacratori, opinionisti e curiosi, giornalisti e ruffiani. Viandanti del web che hanno alleggerito giornate di lavoro navigando al tempo di un click.

In quanti torneranno?

Chi verrà dopo di loro?

Un blog è come una piazza. Qualche volta è gremita di facce allegre, turisti che la fotografano. In altri momenti è buia, coi netturbini che spazzano via l’esuberanza del pubblico dell’ultimo concerto di beneficenza. Vi ritrovi vecchi amici in sella a una bicicletta, sguardi seducenti di passanti. E se hai tempo puoi fermarti a scambiare due chiacchiere col pazzo che urla al cestino dei rifiuti o con la signora che porta a spasso il cane pettinato alla moda.

Su un blog ci si arriva per caso. Segui l’istinto. Apri pagine come matrioske. Colori, sembianze, profili accennati di individui che si celano dietro immaginarie identità.

Anche oggi torna sera a Bologna. La luce sfuma sul rosso dei tetti, “la gente torna a casa davanti alle televisioni”, e mentre mi domando come siano finite le persone sul mio blog qualcuno mi cerca in chat.

“Ciao” attacca.

Rispondo al saluto.

E’ un ragazzo. Dice che scrive racconti. Dice che è capitato sul mio blog nel modo più strano che io possa immaginare.

Lo sfido a raccontare.

Non vuole farlo, dice di vergognarsi.

Spero che non cominci a dire porcate perché chiudo la chat e non la riapro più.

Mi chiede di non ridere. Prometto di non farlo. Inizia a raccontare.

Pare che qualcuno gli abbia letto le carte. Ma io che c’entro? Penso. Quel “qualcuno” gli ha suggerito un nome per cercare qualcosa che avesse a che fare col suo cammino. Quel nome era Lucia e lui l’ha cercato sul web.

Non riesco a mantenere la promessa e rido.

Lui non si arrabbia, ride con me.

E’ una serata strana. Il vento sbatte porte e finestre e al piano di sopra qualcuno discute vecchie questioni ormai note all’intero palazzo.

Un blog è come una piazza, penso. Un non luogo che mescola magia e immaginazione.

Non so ancora come tutti voi siate capitati qui. Certo che ne avete avuta di pazienza a seguire le mie storie. Avrei voluto servirvi le portate migliori, versare nei vostri bicchieri vini d’annata e brindare alle stagioni che incalzano. Ma è solo un fast food. Parole a buon mercato da consumare fra un volo di piccioni e un chewing-gum sputato che se non fai attenzione ti si appiccica sotto i piedi.

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