martedì, settembre 25, 2007

 

LA SENTI UNA STRANA STAGIONE


“Si è spento il sole e chi l’ha spento sei tu” cantava Celentano fra i solchi di un vecchio vinile di mia madre che ascoltavo da bambina, seduta sul gradino in pietra della casa al mare.

Ma il sole sembra non spegnersi mai nel paese del vento e insiste spocchioso sulle schiene degli ultimissimi vacanzieri che giocano a racchettoni e leggono romanzi ben pubblicizzati sorseggiando il liquido sciolto di sintetiche granite alla menta.

Pedalo sul lungomare di aiole fiorite e nuove rotonde, con pantaloni arrotolati e cappellino, in cerca di notizie per conto di una rivista il cui nome, Spiagge d’Italia, sa di sabbia nei risvolti dei pantaloni e grigliate di pesce all’aperto. Con me, una macchina fotografica, un block notes di carta ecologica e un telefonino. Illusione, con sportellino, di un improbabile contatto col mondo.

“Scrivere di spiagge è lavoro per te!” mi ha assicurato l’amica storica davanti a una sangria in bicchiere grande. E cercare notizie fra gli ombrelloni chiusi può essere più stimolante di un pomeriggio in compagnia di un russo che parla un inglese peggiore del mio e non conosce una sola parola di italiano.

Dalla strada le insegne degli stabilimenti abbandonano la sfida stagionale dopo essersi litigate fino all’ultimo bagnante mentre qualcuno sta finendo di lavare sdraio e lettini e sogna di svernare in Polinesia.

Mi fermo a scattare qualche foto e una donna dai capelli bianchi e orecchini di vecchia fattura si avvicina col sorriso di chi ha qualcosa di cui parlare.

“A vederti mi viene in mente una sola parola: indipendenza!” attacca. “E anche libertà!” aggiunge.

Mi immagino Lady Liberty nel porto di New York, con fiaccola e corona a sette punte.

Le sorrido.

La donna si avvicina.

“Ho compiuto ieri ottant’anni!” dice.

Avrei giurato meno, penso guardando la vita pulsare ancora nei suoi occhi chiari.

Mi racconta di lei. Della sua lotta per essere libera. Della sua incredulità d’essere invecchiata. Il volto aristocratico, austera e dolce come le donne del passato. La voce pacata, le pause a cercare la cosa giusta da dire, con l’aria di chi sente che il tempo in scadenza non le permette rettifiche o ritrattazioni. Sto bene con lei. Dice di chiamarsi Loredana. Mi accarezza i capelli. La lascio fare. “Anch’io li portavo così lunghi, sai?” dice toccando la punta della sua acconciatura fresca di parrucchiere. Sedute sul muretto insabbiato dall’estate appena passata ci godiamo l’aria di un altro pomeriggio che se ne va.

L’autunno ha già fatto il suo ingresso e ruba ogni giorno qualche minuto di luce, penso. Presto la campagna vestirà i suoi colori. Una scala cromatica di rossi e gialli dipingerà il fogliame prossimo alla caduta e l’odore di castagne sul fuoco darà un nuovo aroma ai vicoli in città.

“La libertà è poter cambiare idea” convenni un giorno con un’amica di blog, “...e poter invertire l’ordine delle stagioni”, aggiungo io. E anche se la prima foschia della sera annuncia il tempo degli stivali e dei maglioni a collo alto, io giurerei di aver visto un campo di primule, più in là, dove qualcuno si prepara per il giorno di festa.

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domenica, settembre 09, 2007

 

FOTOGRAFIE


Cominciai a fotografare nell’estate dei miei sedici anni con una Minolta subacquea giallo girasole e la sorpresa di un’età che procurava turbamenti. I primi scatti azzardati, sullo sfondo di una spiaggia che sapeva di pizzette riscaldate e gelati all’amarena, ritraggono i visi di amici stagionali che il temporale di fine estate si portava via. Inquadrature casuali di sorrisi salati in quei preziosi primi attimi di libertà. Poi venne il tempo della Reflex, una Olympus del 1974 usata, compagna di viaggi nelle capitali europee e giovane amante smaniosa di ritratti e controluce. L’ho portata lungo i canali di Amsterdam, nelle fredde mattine di una Copenaghen ventosa, terra di vichinghi e di sfacciati occhi chiari. Mi ha seguita alle feste, fra bicchieri di carta e fette di torta lasciate a metà. Ha catturato i trilli di una tromba color argento suonata all’aperto e il chiaroscuro della tastiera di un pianoforte a mezza coda. E’ salita in montagna, scesa per le valli di un’estate che rifletteva nei laghi in compagnia di pescatori dall’alito che odorava di grappa bevuta alle quattro del mattino. Ha fermato le bizzarrie di un ragazzo che non ha più voce e quei pantaloni a zampa che mettevo in discoteca; campi di girasoli, passati amori e la pancia nuda e tesa della prima amica gravida.

Grazie alla fotografia ho conosciuto mia madre bambina, incontrato il volto intimidito di mia nonna in abito da sposa e scoperto la vecchia automobile a due posti che guidava mio padre quando ancora non avevo questa vita. Sulle immagini scattate ho desiderato e pianto. Sorriso e rivissuto. Alcune le ho incorniciate benché mosse, altre strappate anche se a fuoco giusto.

E’ notte. Sfoglio gli ultimi scatti di uno stravagante ritrovo in terra toscana. Davanti a me i volti familiari di un unico incontro.

Nella prima c’è un poeta. Il viso ossuto e aggraziato. Ha bei lineamenti e un cuore bambino. Nell'altra, un principe dai capelli rossi scruta pensante la collina di cacciatori in cerca di fagiani. Poi di nuovo il poeta, fuma e nasconde la stanchezza di una notte insonne. Qui, un fotografo con occhiali e barba curata cerca il suo scatto mentre una donna dagli occhi fatati abbozza un sorriso pensando di averlo già trovato. Nell’altra, i capelli di una giovinetta sembrano muoversi al vento. Qualcuno dall’accento romano lascia scivolare sul naso un paio di occhiali scuri. Qualcun altro dietro gli occhiali sembra nascondere un’improvvisa emicrania. Due uomini si guardano complici. Qui, ancora il poeta che tenta un tuffo in piscina. In quest’altra un ragazzo con la maglia verde sorride e non crede di essere fotogenico. Poi, il profilo sinuoso di una bimba che riflette nello sguardo vigile di due donne dal volto somigliante. E ancora il poeta che abbraccia una ragazza di quarant’anni e una panoramica del tramonto sulla distesa di ulivi.

Siamo tutti più belli quando sfuma la luce, penso. Le guardo e le riguardo. Una spirale di volti che si susseguono trattiene e imprigiona ogni mia fantasia e il silenzio della notte che sta passando si diluisce coi primi cenni di un’alba sonnecchiante e sorniona.

“Le fotografie possono raggiungere l’eternità attraverso il momento” diceva Cartier-Bresson, mentre catturava il minuto sbirciando dal mirino di una vecchia Leica. E forse è proprio questa eternità che sto cercando, ancora sveglia a quest’ora.

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