giovedì, dicembre 14, 2006

 

DIETRO LE QUINTE


Lo spettatore ha un privilegio, l’ho sempre pensato. Assapora l’emozione, succhia il nettare della bellezza seduto in poltrona. Dal buio di una sala, col cappotto sullo schienale, lo spettatore ascolta, guarda, e trattiene il suo piacere, mentre sul palco accade tutto per lui.

Non sono più spettatrice da anni. “Organizzare eventi” come si dice o “lavorare con gli artisti” come amo definirlo io, ha cambiato il mio modo di assistere agli spettacoli. Mi soffermo sul palco, sulle luci, sugli attrezzi in scena, e sbircio dietro le quinte per avere l’anteprima di una sana tensione da pre-palcoscenico. Se poi lavoro nell’organizzazione, lo spettacolo diventa un dettaglio nel bel mezzo di una serata di speranze, dove finisco quasi sempre col chiedermi perché amo così tanto l’esibizione dal vivo.

Mi trovo in un locale di Bologna quando Anita mi chiede di seguirla in camerino. E’ agitata, concentrata sullo show. E’ l’attrice di punta e dovrà cantare cambiandosi d’abito fra uno sketch e l’altro. Il luogo non è convenzionale e portare un lavoro teatrale in un caffè richiede l’abilità di un giocoliere, pronto ad attraversare l’autostrada guardando fisso sopra la testa il lancio a tre metri di birilli e palline colorate. C’è parecchia gente.

Anita mi chiede di vestirla, di aiutarla con trucco e parrucco. “Sono bravissima! - l’assicuro – Vestivo modelle per le sfilate!” Il camerino è un piccolo sgabuzzino per le scope e i detersivi che porta dritti nel bagno della direzione. C’è uno specchio, un lavandino. “Meglio che al Comunale”, scherziamo. La tensione è equamente distribuita fra la regista e gli attori sulla scena, come un filone di pane di una confraternita di fedeli. E’ una questione di equilibrio, penso. Finché le loro gambe reggeranno il peso dell’intero impianto artistico ci saranno doni per gli spettatori. Anita freme. Scalda la voce. Inspira profondamente e butta fuori l’aria come il soffietto di un camino. Mentre si spoglia l’aiuto a indossare il costume della prima scena. E’ un abito lungo, verde e lucido come una bottiglia al sole. Afferro il tiretto della cerniera lampo e tiro con sicurezza verso l’alto. L’abito si chiude e la fascia come una sirena. Poi i dentini della cerniera tornano ad aprirsi riportando alla luce la sua schiena nuda e un piccolo tatuaggio annebbiato dal cerone. Richiudo la lampo e mi accorgo che manca un bottone. A pochi minuti dalla prima scena, la mancanza di un bottone è come l’assenza di un tratto di binario per un treno in corsa che sta fischiando il suo arrivo. Mi guarda disperata. “Cosa c’è?” domanda con un filo di voce. Non rispondo. Frugo nelle tasche, nella borsa e nel cassetto degli infortuni e trovo l’anello di un vecchio portachiavi e un cerotto. “Non preoccuparti, è tutto sotto controllo!”, la tranquillizzo. Lo spettacolo sta per cominciare. Vediamo le luci abbassarsi. Lei continua a truccarsi pregando la fortuna. Sento il suo batticuore che si sintonizza sul ritmo del mio. Non ce la farei mai ad affrontare un palco, penso, ma lei, sfrontata quanto basta, mostra il coraggio di una veterana. Con l’abilità di una sartina opero una breve modifica utilizzando l’anello come fermo della cerniera. Anita grida sottovoce. La sua pelle si sta tagliando per via delle estremità appuntite di quell’oggetto riciclato. “E’ un portachiavi” le dico. Lei mi guarda scoraggiata. Sfilo quel ferretto arrotolato dalla trama della stoffa e per l’agitazione mi cade. “Dai che devo uscire!” si raccomanda. Recupero l’anello, strappo coi denti una striscia di cerotto e avvolgo in fretta le estremità appuntite sulle note della musica iniziale. “Fatto!” Si volta verso di me. Le aggiusto al volo la parrucca e schizza sulla scena come le gocce di una pozzanghera violata da una mandria di bestiame in fuga.

Respiro. Esco quatta dal camerino e la scruto mentre canta sicura la sua voglia di esibirsi. Sorrido. È davvero brava e tutto questo, le luci, la musica e gli sguardi della gente mi fanno ricordare ancora una volta che amo l’esibizione dal vivo, stare fra lo spettacolo e lo spettatore, forse perché lì c’è sempre bisogno di un piccolo effetto che faccia entrare la palla in buca. Lì dove tutto è superfluo e tutto indispensabile, compreso il vecchio anello di un portachiavi che nessuno usava più.

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