lunedì, agosto 28, 2006

 

E’ MORTO MAYNARD FERGUSON


E’ successo qualche giorno fa, il 23 agosto. Walter “Maynard” Ferguson se n’è andato a 78 anni per un’insufficienza al fegato e reni causata da un’infezione all’addome. Era nato a Montreal nel 1928 ed è morto in California, al Community Memorial Hospital di Ventura. Suonava come professionista dall’età di 13 anni quando fu assunto come tromba solista dalla Canadian Broadcasting Orchestra e ha inciso più di 60 album. Si è esibito al fianco dei più grandi jazzisti di tutte le epoche. Da Duke Ellington a Dizzy Gillespie, da Charlie Barnett a Stan Kenton. Specialista del registro acuto, Ferguson ha tenuto concerti fino all’ultimo.

"Ci sono poche cose in natura tanto impressionanti quanto i muscoli del collo di Maynard Ferguson mentre soffia un do acuto". Penguin Guide to Jazz


mercoledì, agosto 23, 2006

 

I CITTADINI “IMPEGNATI”

I miei mercoledì mattina cominciano sempre lentamente e con qualche ora in meno di riposo rubato dalla serata precedente passata al Bibò, il birrificio di Bologna. Birrificio nel senso che la birra la fanno loro, come recita lo slogan. Al Bibò organizzo le serate di musica e gli appuntamenti culturali e sono l’addetta stampa, quindi sono presente durante gli eventi. Ieri sera, su palco, c’era il Diego Frabetti trio. Una tromba, una Monette per la precisione, una chitarra e un contrabbasso e tanto jazz. Non occorre essere amanti del jazz per immaginare l’impatto sonoro di una performance del genere e riconoscere la differenza fra un concerto da stadio e tre musicisti che in acustico eseguono standard d’ispirazione americana. Ma evidentemente l’immaginazione, ai nostri giorni, viene usata per altro. Alle 9 ricevo una chiamata dal Quartiere e vi assicuro che non c’è risveglio peggiore. Pare che una coppia di mezza età si sia presentata negli uffici gridando insolenze a danno del “deficiente che ha dato il permesso per suonare all’aperto a quelli del Bibò”. La “deficiente”, che si trovava proprio di fronte ai due cittadini infuriati, ha mostrato loro la regolare concessione rilasciata per la manifestazione ma ciò non è bastato per salvarla dall’ira funesta dei due amanti della quiete e della giustizia che hanno pensato di ricorrere alle piccole menzogne quotidiane facendo sgorgare, come acqua contaminata, frasi del tipo “suonavano come pazzi in mezzo alla strada!”, “erano tutti ubriachi!”, “hanno finito dieci minuti dopo la mezzanotte!” Se c’è ancora qualcuno che pensa al binomio Bologna/musica può cominciare ad archiviarlo. La mania di protagonismo di alcuni cittadini troppo abituati alla dissonanza del traffico stradale per accettare l’armonia del suono degli strumenti musicali vince sulla consapevolezza che la riqualificazione di alcune zone passa attraverso l’apertura di luoghi di sana socializzazione. L’estate scorsa, quando ancora il birrificio non c’era, quello spiazzo dove ora i musicisti intonano i loro “fastidiosi” concerti era il luogo di incontro di tossicodipendenti che nascosti fra le auto e seduti sulle scale esterne si bucavano in silenzio per non disturbare i vicini. Quella sì che era vita per i cittadini “impegnati”. L’importante è non sentire. La morte, che lentamente scorre nelle vene degli altri, non fa rumore.


domenica, agosto 20, 2006

 

Una lettera da Pupi Avati


“Calligrafia”, da quanto tempo non sentivo questo termine. Oggi frequentiamo persone di cui ignoriamo la calligrafia. Eppure un tempo era un biglietto da visita. Qualcuno ricorda le vocali arrotondate e cuoriformi delle compagne di scuola? I segni spigolosi degli innamorati respinti, il tratto morbido e aggraziato degli amici più cari, le consonanti incerte dei nonni? La calligrafia era come il suono della voce, l’odore del corpo, il colore degli occhi.
Sono poche le persone a cui scrivo e dalle quali ricevo ancora lettere ma io guardo ancora speranzosa oltre il vetro ambrato della buchetta della posta e quando, collocata sul fondo, scorgo una busta, mi sento più ricca. Spesso sono “letterine d’amore” della banca o dell’Enel, ma oggi c’era una lettera di Pupi Avati. L’ho aperta con la fretta di chi non sa aspettare e ho trovato una carta intestata color avorio e parole d’affetto e di speranza. Le ho lette tutte nel tempo di un unico respiro. Parole scritte a mano da una stilo con la punta fine. Lui è uno di quei nostalgici che scrive ancora con la penna o tutt’al più con una vecchia macchina da scrivere dai tasti rumorosi. Mi pare di vederlo. Di schiena. Seduto alla scrivania mentre prende dal cassetto un foglio, lo sistema sopra un piano in pelle e comincia a scrivere. Poi si ferma, pensa e la piccola sfera imbevuta d’inchiostro riprende a rotolare sulla superficie rugosa della carta lasciando dietro di sé un tratto elegante e deciso. Piega il foglio in tre, lo inserisce nella fessura della busta e sul dorso riporta il mio indirizzo…e accenna un sorriso mentre scrive “Bologna”.


giovedì, agosto 17, 2006

 

La vedova Cantelli e le case del centro storico

Ho sentito dire che Bologna è la città delle vedove. Forse perché ci sono parecchie donne sole. Questo mi fa sorridere perché l’idea della signora Cantelli, uno dei personaggi principali del mio romanzo, non è nata pensando all’intera città, bensì alla leggenda che si tramanda nel palazzo dove vivo. La chiamavano la casa delle vedove negli anni Cinquanta. Tre fabbricati di diverse dimensioni uniti da un lungo corridoio cadenzato da ampi archi dipinti di grigio e tanti cortiletti interni. Quattordici portoni di legno oltre i quali si nascondono facce e stili di vita diversi. Un paio di gatti che spiano i movimenti delle due scalinate. Uno scantinato in pietra a vista con tavelle di cotto e cunicoli che stuzzicano macabre fantasie. E un cancello in ferro battuto che dovrebbe difendere dalle invasioni. In città ce ne sono tante di case così. Sono edifici multistile che mostrano i segni di svariate ristrutturazioni. Il palazzo era già presente nelle cartine del 1600 ma di quell’epoca sono rimaste solo le mura in pietra e sassi di fiume. Nel Settecento ci viveva un marchese e le sue stanze coincidevano con quelle che sono oggi le “mie” stanze. La mia cucina, il mio soggiorno, il mio studio. Un rudimentale montacarichi collegava i diversi piani e, adiacenti al cortiletto più esteso, sorgevano le scuderie, mentre l’ultima parte di fabbricato era destinata alla servitù. Nell’Ottocento, in piena rivoluzione industriale, anche il marchese cominciò a cadere in disgrazia e fu costretto a dividere il palazzo in più abitazioni e cedere la sua proprietà. Nel Novecento l’intero “pacchetto” venne acquistato da due sorelle che trascorsero la loro età più florida affittando appartamenti. Pare che fossero insegnanti di matematica. I bombardamenti del secondo conflitto mondiale distrussero parte dell’edificio ma loro lo fecero ricostruire. In quegli anni, dietro a ognuno dei quattordici portoni viveva una donna sola. Vedove di guerra, vedove che avevano visto il marito spegnersi per una malattia e, si vociferava, una vedova uxoricida.


martedì, agosto 15, 2006

 

Ferragosto a Bologna


E’ da sette anni che a Ferragosto resto in città. La gente al mare, in montagna, catapultata dall’altra parte del mondo con un aereo mi lascia finalmente Bologna tutta per me. Mi sveglio già canticchiando e guardo dalla finestra il deserto felsineo. All’orizzonte un passante si gode la sua pedalata in mezzo alla strada. Sta fischiando e lo sento. Incredibile! Passa sotto la mia finestra, alza lo sguardo e mi sorride. Mai successo! Prendo la macchina fotografica ed esco. Fingendomi una turista vago per le vie e scatto immagini di soli palazzi, strade, particolari dell’architettura. Il vero volto della città. Ciondolo in mezzo alla strada come una bambina leziosa spiando le decorazioni dei soffitti delle case del centro. Sono distratta dal silenzio, dalla calma e guardo sempre verso l’alto cercando qualcuno alla finestra da salutare. Mi torna il ricordo di un bellissimo ragazzo che sporgeva da un piccolo balconcino con il suo dalmata elegante e ben pettinato. Era l’estate del 1997 e mi trovavo ad Amsterdam. In questo ferragosto bolognese alle finestre non ci sono begli uomini, tanto meno cani ma continuo a guardare fiduciosa. Un passo dopo l’altro percorro i portici mentre sento chiaro il ticchettìo delle mie scarpe che calpestano i pavimenti alla veneziana. Evito per puro miracolo una cacca di cane lasciata alla base di una delle colonne di Palazzo De Bianchi. La fotografo perché non ho mai visto nulla di più sfacciato e riprendo il mio vagare. Siamo al giro di boa, penso. Già da domani la città ricomincerà il suo vociare. E’ già finita un’altra estate.


lunedì, agosto 14, 2006

 

“Idee potenti in poche pagine!”

La presentazione di un libro è qualcosa che aveva sfiorato la mia vita solo in poche occasioni e mi aveva coinvolta in quanto parte del pubblico. Questo fino a ieri, quando il libro presentato coincideva con il primo romanzo che ho scritto.
Ecco la cronaca:
Cervia. Domenica 13 agosto ore 10. Sulla battigia antistante il Grand Hotel, sotto un tendone bianco allestito di tavolo per conferenze e un piccolo auditorio in sedie rosse c’è una donna gentile con i capelli grigi che sistema oggetti e aspetta qualcuno. Il tempo è indulgente e lascia uscire un sole protagonista, dopo una settimana di temporali. Il mare è a due passi, azzurro, mentre accenna il suo ritmico movimento verso la riva.
Sono vestita di rosso, qualcuno mi ha detto che porta bene.
Viene allestita una vetrina di libri e collocata una locandina che riproduce la mia faccia a grandezza naturale e sbuca Silvano, il mio editore, con il suo staff di collaboratori. Tutti sorridono.
Scambiamo qualche battuta e i bagnanti in costume, volti cari e gente del posto si siedono in attesa. Qualcuno mi fa notare che il mio nome compare sul depliant illustrato. Cervia la spiaggia ama il libro si chiama la manifestazione, e la signora con i capelli grigi dice che possiamo cominciare.
Siamo in tre al tavolo, con due microfoni. Il pubblico si zittisce. Introduce Giovanna Degli Esposti, moglie dell’editore ed esperta di storia dell’arte. E’ una donna magra, elegante e lieve. Bella. La sua voce è rassicurante e il suo linguaggio forbito. Passa la parola a Carmen che siede alla mia destra. Carmen Dal Monte è docente di etica all’Università di Bologna. Un volto che sembra dipinto da una mano sicura che ha tracciato un unico segno deciso. Occhi scuri, pelle ambrata e i capelli di una Sioux. Mentre parla l’attenzione del pubblico non cala mai, come la corda tesa di un archetto.
“Eleonora ha raccontato la vita attraverso gli edifici, – dice – ha parlato di sentimenti meno nobili come l’invidia, la frustrazione, la delusione ...ha infranto un tabù, scrivendo di un amore fra un ragazzo giovane e una signora anziana… Eleonora ha saputo concentrare idee potenti in poche pagine, a volte in poche righe.”
Io l’ascolto solo con un orecchio per non lasciarmi coinvolgere dal contenuto della sua recensione, ma vorrei prendere appunti. Scrivo una frase ma ho paura di distrarmi e non capire le sue domande. Allora cerco di memorizzare il suo intervento ma non ci riesco. Ripeto la sua ultima asserzione ma ne incalza un’altra ancora più interessante e intensa. Le sue parole schizzano come spruzzi di acqua di Colonia e subito evaporano. Non riesco a catturarle. Sono disperata. Controllo sul tavolo se c’è lo scritto del suo intervento. Basterebbe una scaletta per ricostruire parte di ciò che sta dicendo, ma non c’è. Carmen non è il tipo che legge davanti a un pubblico. Carmen va a braccio.
Parte con le domande. Mi chiede perché i Bentivoglio, com’è nata l’idea del romanzo e quanto c’è di autobiografico. Farfuglio qualcosa ma sono distratta dall’eco delle sue parole. Me la cavo ma non ricordo di cosa sto parlando. Poi mi chiede quanto è stata importante la musica nella stesura del mio libro. Per rispondere occorrerebbe un’ora di tempo. Guardo il pubblico. Non chiede molto. Vuole solo una risposta, anche breve. La trovo e concludo.
Carmen invita a comprare il romanzo e approfittare della mia presenza per avere un autografo sulla copia, casomai diventassi famosa. Tutti sorridono. Si fa largo Terenzio Medri, Presidente dell’Ascom di Cervia e mi stringe la mano mentre il fotografo scatta le immagini di rito. La donna gentile con i capelli grigi è soddisfatta, i volti cari nascondono orgoglio e commozione e una fila di bagnanti si viene a formare davanti a me. Allungo la mano sinistra, afferro la penna e comincio a firmare e ripeto fra me quell’ultima frase per non dimenticarla: idee potenti in poche pagine!


sabato, agosto 12, 2006

 

Strani Sogni

Ero bambina negli anni Settanta e di quei giorni ricordo la musica, le facce dei cantanti, il look trasgressivo di certi personaggi che emergevano dalle fila delle nuove proposte. Vivevo in una piccola cittadina vicino al mare e svernare era l’impegno più gravoso. Sopportare le cabine in spiaggia vuote di turisti, i negozi con le serrande abbassate, le gelaterie con le pagine di giornale attaccate sui vetri e la nebbia di certe sere era davvero faticoso per una come me che se ne stava tutto il giorno ad aspettare che accadesse “qualcosa”.
Verso la fine di quel decennio dove imperavano occhialoni e pantaloni a campana un gruppo di ragazzi mise in piedi una radio libera. Due stanze messe a disposizione da uno di loro, i cartoni per contenere le uova alle pareti concessi dai negozianti della zona, i dischi di ognuno rigorosamente firmati sulla copertina in caso di abbandono e tanta buona volontà. Si chiamava Radio Cervia e io, piccola e zelante, mi inventai un ruolo per essere lì ogni giorno. Ordinavo LP e singoli negli scaffali di legno, rispondevo al telefono durante i programmi di dediche e richieste e prestavo la mia voce per le pubblicità di negozi per bambini. Mi passavano per le mani centinaia di dischi. I successi di Venditti, De Gregori, De Andrè, Battisti, Baglioni, Loredana Bertè, Mia Martini, Alberto Fortis, Rino Gaetano; gruppi come la PFM o Le Orme, ma anche fenomeni stagionali come Leano Morelli, Alberto Camerini, Donatella Rettore o meteore come Tenax, Ciro Sebastianelli, Paolo Barabani, Dario Baldanbembo, Santino Rocchetti e altri. Poi c’era un ragazzo di Roma che faceva parlare di sé per l’audacia del suo abbigliamento. Un certo Renato Fiacchini che si faceva chiamare Renato Zero. Erano gli anni di Zerolandia, Zerofobia, Erozero.
Questa notte ho sognato una di quelle copertine. La tenevo fra le mani e guardavo intensamente quel volto truccato mentre prendeva forma e si staccava dal cartoncino consumato che la tratteneva finché me lo sono trovato davanti in tutta la sua trasgressiva bellezza. Giovane, poco più che ventenne, con i capelli sulle spalle, riccioli morbidi e scuri e gli occhi contornati di matita nera e brillantini argentati Renato Zero mi ha accolta fra le sue braccia. L’ho baciato con lo stesso desiderio di quegli anni, quando ritagliavo le sue foto e le mettevo sotto il cuscino nella speranza di sognarlo e mi sono svegliata di colpo con l’illusione di essere ancora quella bambina.


venerdì, agosto 11, 2006

 

I BENTIVOGLIO

Cacciati da Bologna nel novembre del 1506 da papa Giulio II, i Bentivoglio furono protagonisti della storia felsinea per più di duecento anni. Signori della città, cavalieri di guerra e difensori del bello, accompagnarono Bologna verso il rinascimento. “Giovanni II Bentivoglio – sposo di Ginevra Sforza e ultimo signore di Bologna – ereditò una città di legno e lasciò una città finemente decorata”, si legge nelle cronache antiche. Successore di Sante Bentivoglio, che morì nel 1463 a causa di una strana malattia, e figlio di Annibale, valoroso condottiero ucciso dai sicari pontifici quando non aveva ancora trent’anni, Giovanni II venne allontanato da Bologna per la sua presunta condotta tirannica assunta in seguito a numerose congiure compiute dalle altre famiglie nobili ai suoi danni. Famosa è la congiura dei Malvezzi, antica famiglia alleata dei Bentivoglio che tramò per scalzarli dal potere. Dopo cinquecento anni torna la saga di questi uomini e queste donne tanto odiati da spingere il popolo bolognese ad abbattere a pietrate il loro palazzo, giudicato all’epoca “il più bello d’Italia”.


giovedì, agosto 10, 2006

 

Cervia 13 agosto 2006

Domenica 13 agosto alle ore 10 a Cervia sulla battigia antistante il Grand Hotel nell'ambito della rassegna Cervia, la spiaggia ama il libro
verrà presentato
Il terzo desiderio – ed. Speb
di Eleonora Buratti.

 

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