lunedì, settembre 18, 2006
Detective per caso
Secondo episodio
Dopo la serata passata a casa di Agata ne son successe di cose! Un pomeriggio ricevo la chiamata di Vincenzo. “Sei pazza!”, mi ammonisce prima ancora di chiedere come sto. “Non puoi pubblicare certe cose sul tuo blog!” insiste. Dice che qualcuno potrebbe turbarsi per le storie che racconto, soprattutto se queste storie sono ambientate in città. Io lo tranquillizzo dicendogli che ho tantissimi altri episodi da raccontare e che può anche rassegnarsi. Si offende un po’ ma si rassegna. Poi è la volta di un amico giornalista che mi sottopone una sfilza di candidati per strapparmi il nome del peccatore, ma io mi soffermo solo sul peccato e lui ci rinuncia. Il nome lo confesso solo a un’amica che vive dall’altra parte della città. E’ persona discreta e curiosa e ha trovato un ottimo argomento per scucirmi i dettagli. Chiamo Agata e me ne vado da lei con il binocolo. Sono le sei di pomeriggio. Parliamo del terzo desiderio, della festa a casa del vicino e poi dal lucernaio del suo studio mi affaccio per sbirciare. A fine estate, sui colli di Bologna, la vegetazione sembra difendersi ancora dalla speculazione edilizia. Macchie di verde più intenso si possono notare nelle zone meno assolate e con un po’ di fortuna si può vedere qualche volpe. Agata mi racconta che una mattina ha visto transitare una famiglia di cinghiali. Sembravano in vacanza. La tentazione di spiare il vicino è forte sia per me che per il mio binocolo che si posiziona sulla sua villa e ne mette a fuoco i contorni. La finestra dello studio dove qualche sera prima è andato in scena un inedito spettacolo è coperta da una tenda che non lascia trasparire nemmeno le ombre. Forse ha letto il blog? In giardino c’è un uomo di colore che lavora. Come ogni snob che si rispetti anche il nostro impiegato con la villa sui colli ama dare ordini a quelli con la pelle scura. Nel cortile di sampietrini ci sono un’auto di lusso e una vecchia Citroen beige impolverata. Indovinate un po’ quale delle due è la sua! “Serata fiacca” mi lamento. “Perché non ci avviciniamo dal sentiero dei cinghiali?” propongo. Convinco Agata e ci incamminiamo. Ai piedi mi trovo un paio di sandali dorati, sono di D&G (un regalo!). La calzatura più costosa di tutto il mio guardaroba, non propriamente adatta per una scampagnata. La natura ci mostra subito un intreccio di insidiose propaggini che ci fanno capire di non essere le benvenute da quelle parti. “Ah c’è una biscia!” urlo. La biscia non c’è e Agata ride. Una come lei non teme nemmeno le tarantole. Un giorno l’ho vista raccogliere da terra una mantide religiosa. In più ha i piedi coperti. Io mi sento come in bikini dentro a una chiesa durante la festa del Patrono. Striscio il braccio contro un rovo e mi ferisco appena, ma un leggero segno rosso compare immediatamente e sento bruciore. Il tramonto si è portato via il sole dietro la collina e il buio che incombe mi mette agitazione. Non sono tagliata per l’avventura, penso. Agata è davanti a me e cammina sicura. Io sono preoccupata per le mie scarpe. A ogni passo le vedo sempre peggio. I tacchi si conficcano nella melma del terreno vischioso per le piogge degli ultimi giorni. C’è un piccolo boschetto da attraversare e vorrei tornare indietro. Agata si inoltra in quell’oscurità. Guardo attraverso il binocolo. Le cortecce umide degli alberi sembrano enormi e non lasciano passare lo sguardo. Dietro la lente pare una foresta secolare. “Cazzo c’è un uomo!!!” urlo strozzata. Agata lo vede, è lontano da noi ma vicino alla villa. Sembra un meccanico con la barba. “Scappiamo!” dice. Lei che non teme nemmeno le mantidi religiose dice scappiamo? La paura si concentra nella parte più alta della schiena e mi spinge a correre. Agata mi alita sul collo e mi incita alla fuga. Io corro fra le pareti informi della boscaglia, torno sul sentiero dei cinghiali mentre i miei piedi affondano nel terreno e spezzano i piccoli rametti che ostruiscono il passaggio. Corriamo come pazze ansimando il nostro spavento. Penso che quell’uomo ci sta inseguendo, magari porta con sé un’accetta da insanguinare o tenta di infilzarci con una balestra da precisione. Io corro senza mai voltarmi indietro e non so più se dietro di me c’è ancora Agata o mi sta raggiungendo l’uomo con la barba, la lama della sua accetta o la punta della freccia della sua balestra. Il cancello di casa è aperto. Entriamo spedite. Lei ha in mano le chiavi del portone. Apre. Ci infiliamo in casa e serriamo la porta con il catenaccio. Lei si siede su un gradino. Riprendiamo fiato fissandoci negli occhi. Poi comincia a ridere mentre guardiamo i miei sandali distrutti.
Qualcuno conosce un calzolaio nel centro di Bologna?
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