mercoledì, settembre 13, 2006

 

Che bella gente!


Spesso mi chiedo che fine abbia fatto la Bologna del Cinquecento. Il rinascimento è transitato su questa città senza lasciare nulla? Coltivando il dubbio, quale miglior compagno di viaggio, amo spulciare nelle vecchie cronache cittadine per avere il senso della provenienza e ricostruire le radici. E “spulciando” ho scoperto che in centro viveva una donna straordinaria. Si chiamava Ginevra Sforza ed era la signora di Bologna. Ginevra, figlia di Alessandro, signore di Pesaro, sposò in prime nozze Sante Bentivoglio all’età di 12 anni. Lui era già un uomo maturo, sulla trentina e rosso di capelli. Teneva saldamente la città assieme alle altre famiglie e al legato pontificio e amava una certa Nicolosa Sanuti, moglie del conte. Ginevra, giovane e inesperta, cominciò la sua vita bolognese con l’entusiasmo di un sequestrato. I matrimoni combinati erano un fatto del tutto naturale per chi li organizzava, ma la giovane vittima si ritrovava ancora bambina, sposata a un estraneo e costretta a rapporti intimi con un uomo che la possedeva solo per puro piacere e per assicurare la discendenza. Ginevra, nella solitudine del suo ruolo di moglie lasciata a palazzo si innamorò di Giovanni, il quindicenne figlio di Annibale, cugino di Sante. Le cronache non riportano dell’idillio sbocciato fra i due ma io spesso li ho sognati, nascosti nel loggiato, dietro le fontane di pietra, sotto le grandi scalinate di quella nobile dimora che venne distrutta dai bolognesi nel maggio del 1507. Sì, perché i bolognesi anche questo fecero. Fomentati dal papa, abile manovratore di ogni realtà (e poi ditemi che Bologna non è papalina!) il popolo felsineo distrusse a pietrate il palazzo Bentivoglio. Considerata dagli storici del tempo la più bella costruzione che ci fosse in Italia (il rosso del mattone sposato al grigio della pietra di Porretta al color oro delle decorazioni sulla facciata), la dimora di Ginevra e Giovanni Bentivoglio (i due, dopo la “strana” morte di Sante si sposarono e allevarono 16 figli) venne abbattuta a pietrate e quel che ne rimane oggi è un isolato informe, in pieno centro storico, con edifici multistile in netto contrasto con ciò che li circonda. Una porzione di città dove non regna mai la pace. Si tratta dell’isolato antistante Piazza Verdi. Il palazzo distrutto era situato in quella porzione di terreno delimitata da via Zamboni, via Belle Arti, via Castagnoli e via del Guasto. La pendenza dei giardini del Guasto altro non è che un ammasso di detriti, cocci e legni spaccati del palazzo più bello d’Italia. Il Teatro Comunale altro non è che una scelta di cattivo gusto (pensare di fare spettacoli sopra i cadaveri che rimasero imprigionati dal crollo dell’edificio mi sembra un po’ troppo!). La nuova costruzione, qualcosa che nulla a che fare con un centro storico, altro non è che l’ennesima speculazione edilizia all’italiana (non oso pensare quel che è stato trovato durante gli scavi!). E quel che accade in Piazza Verdi è la naturale conseguenza secondo l’antica arte orientale del Feng Shui. Ginevra morì di crepacuore, esiliata a Parma per volere di Giulio II, entrato in città da re, acclamato dalla folla. E venne sotterrata assieme al ricordo del suo bel palazzo. Anche questi sono i bolognesi.


Comments:
Cara Lucia,
Non ci capisico niente di blog, io ti vedo su tutti e due gli indirizzi ( ma poi sono due indirizzi diversi?)

Baci
 
Grazie, sono riuscita a risolvere. Era un problema del mio collegamento. Tutte è bene quel che finisce bene...e l'ultimo chiuda la porta. SBANG!!!
 
Sì è un vero un ecomostro quello!! Potevano farci qualunque cosa ma quello schifo è uno sfregio al centro storico (e al senso estetico). Tutte le volte che vado all'odeon mi fermo alcuni minuti a rimirare incredulo quella costruzione.
Mi chiedo come abbiano avuto i permessi e come mai non ci sia stata una rivolta popolare contro la sua costruzione. Tanto casino per un campo da golf o un ristorante sui colli (io abito in centro e non ho la macchina. Per me i colli sono su marte) e il silenzio su quella roba lì. Mah.
 
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